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MANAWEE

C’era una volta un uomo che corteggiava due sorelle gemelle. Ma il loro padre gli disse: «Non potrai averle in moglie finché non ne indovinerai i nomi», Manawee provava e riprovava, ma non riusciva a indovinare i nomi delle due sorelle.

Per acquisire la consapevolezza delle proprie parti interne dobbiamo poterle identificare. Dobbiamo poterle chiamare per nome. Altrimenti il “matrimonio interno” o l’integrazione delle parti interne non può avvenire. Come facciamo a cambiare se non conosciamo il nome di ciò che vorremmo cambiare?
Buona parte di un percorso di psicoterapia verte proprio sulla ricerca di questi nomi e sulle funzioni che svolgono.
L’altra particolarità di questo racconto sta nel fatto che le spose sono due.
Jung spesso sotttolineava come l’esistenza umana sia fortemente contraddistinta dal dualismo, dalla convivenza degli opposti; maschile-femminile, buono-cattivo, individuale-collettivo, luce-ombra…
Questo dualismo è pienamente evidenziato dalla storia che invita all’accettazione degli opposti e delle contraddizioni che ci abitano.

Il padre delle giovani scuoteva il capo e ogni volta lo mandava via. Un giorno Manawee portò con sé il suo cagnolino, il quale si avvide che una sorella era più graziosa e l’altra era più dolce. Sebbene nessuna delle due possedesse tutte le virtù, al cagnolino piacevano moltissimo perché gli diedero delle leccornie e gli sorrisero guardandolo negli occhi. Neanche quel giorno Manawee riuscì a indovinare i nomi delle giovani, e se ne andò tristemente a casa. Ma il cagnolino tornò correndo alla capanna delle due sorelle. Poggiò l’orecchio sotto un muro e udì le ragazze che tra loro dicevano quanto era bello e virile Manawee. Intanto si chiamavano per nome, e il cagnolino udì e corse il più velocemente possibile per riferire tutto al suo padrone.

Ma nei pressi del sentiero che percorreva un leone aveva lasciato un grosso osso con un bel po’ di carne; il cagnolino ne sentì immediatamente l’odore e, senza pensarci un attimo, si lanciò fra i cespugli nella giusta direzione. Con enorme piacere divorò la carne e leccò l’osso finché non ebbe più alcun odore. Oh! il cagnolino d’improvviso si ricordò della missione incompiuta, ma purtroppo nel frattempo aveva dimenticato i nomi delle giovani. Di nuovo corse alla capanna, e questa volta era notte e le giovani si ungevano l’un l’altra braccia e gambe, preparandosi forse a una cerimonia. Di nuovo il cagnolino le udì chiamarsi per nome. Fece un salto per la felicità, e riprese la corsa verso la capanna di Manawee, ma dai cespugli venne un profumo di noce moscata. Non c’era nulla al mondo che il cagnolino amasse più della noce moscata, Subito deviò in quella direzione, e trovò una bella torta ai mandarini cinesi messa a raffreddare su un ceppo. In men che non si dica la torta non c’era più, e il cagnolino aveva l’alito profumato di noce moscata. Mentre trotterellava verso casa con la pancia piena, cercò di rammentarsi i nomi delle giovani, ma ancora una volta li aveva dimenticati. Così il cagnolino tornò di corsa alla capanna delle gemelle, e questa volta le due sorelle si stavano preparando per le nozze. Oh, no! pensò il cagnolino, il tempo stringe. E quando le sorelle si chiamarono per nome, il cagnolino si ficcò i loro nomi in testa e corse via, assolutamente e risolutamente deciso a non farsi sviare da nulla e a dire subito i due preziosi nomi a Manawee. Il cagnolino intravide della cacciagione sul suo cammino, ma la ignorò. Gli parve di sentire un vago odore di noce moscata nell’aria, ma ignorò anche quello e corse a tutta velocità dal suo padrone.

Ma il cagnolino fu colto di sorpresa da uno straniero tutto nero che sbucò dalle siepi, lo afferrò per la collottola e lo scosse così brutalmente che quasi gli cascò la coda. Perché proprio questo accadde, e lo straniero continuava a urlare: «Dimmi quei nomi! I nomi delle due giovani, così le vincerò» Il cagnolino temeva di svenire tanto era dolorosa la stretta, ma lottò coraggiosamente: ringhiò, graffiò, scalciò e alla fine morse il gigantesco straniero fra le dita, e i suoi dentini pungevano come vespe. L’uomo urlò rabbiosamente, si agitò come un bufalo, ma il cagnolino non mollò la presa. Lo straniero si buttò tra i cespugli con il cagnolino che gli penzolava dalla mano. «Lasciami, lasciami andare, cagnolino, e io lascerò andare te», pregò lo straniero. E il cagnolino brontolò fra i denti: «Non farti più rivedere, altrimenti non vedrai mai più l’alba». Così lo straniero si diede alla fuga, gemendo e tenendosi stretta la mano mentre correva via. E il cagnolino, un po’ correndo e un po’ zoppicando, riprese la strada per raggiungere Manawee. Sebbene sanguinasse e gli dolessero le mandibole, i nomi delle giovani erano ben chiari nella sua mente, e saltò in braccio a Manawee tutto contento. Il suo padrone gli lavò delicatamente le ferite, e il cagnolino gli raccontò tutta la storia e gli disse i nomi delle due sorelle. Manawee corse dunque al villaggio delle giovani portandosi sulle spalle il cagnolino, le cui orecchie fluttuavano nell’aria come code di cavallo.

Quando Manawee arrivò dal padre con i nomi delle due figlie, le gemelle lo ricevettero vestite di tutto punto per mettersi in viaggio con lui: non avevano mai smesso di aspettarlo. Ecco come Manawee conquistò due delle più belle ragazze della regione. E tutti e quattro, le sorelle, Manawee e il cagnolino vissero insieme felici e contenti per tanto tanto tempo.
Stretta è la foglia, larga è là via: dite la vostra, che io ho detto la mia.

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